Terme di Diocleziano

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Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano

Viale De Nicola Enrico, 78
https://museonazionaleromano.beniculturali.it/terme-di-diocleziano
martedì-venerdì 14:00–19:45 sabato-domenica 10:30–19:45
Intero € 12 Ridotto € 8 + € 2 prevendita
Prenotazioni online

Dopo essere rimasti per oltre un millennio gli unici testimoni dell’antica grandezza di Roma in una zona della città quasi del tutto abbandonata, nel 1889 i maestosi ruderi delle terme di Diocleziano furono destinati a sede di un nuovo grandioso museo di carattere nazionale, nel quale confluivano i materiali raccolti durante gli imponenti (e talvolta distruttivi) lavori destinati a dare a Roma il nuovo volto di capitale d’Italia, conquistato nel 1870. A questi reperti, già copiosi, si aggiungevano importantissime  collezioni di antichità private acquisite dallo Stato italiano, cosicché il nuovo museo poté ben presto contare su di una dotazione veramente superba, fra le più rilevanti al mondo, ammontante a centinaia di migliaia di pezzi archeologici di altissimo pregio.  

Negli anni ’80, a circa un secolo dall’apertura del museo, il grandioso complesso venne chiuso per essere sottoposto ad importanti lavori di restauro e di riordino; ma oltre all’esigenza di destinare notevoli spazi alle moderne strutture di servizio,  proprio la ricchezza dei materiali da esporre indusse a suddividerli fra più sedi espositive, cosicché oggi il Museo Nazionale comprende, oltre all’originaria sede delle Terme di Diocleziano, anche quelle di palazzo Massimo, di palazzo Altemps e della Crypta Balbi. Ognuna di esse è stata destinata ad un ruolo particolare per le sue peculiari caratteristiche, pur nella comune destinazione a splendidi contenitori di testimonianze artistiche e storiche dell’antica Roma.

Il complesso delle Terme

Il grandioso insieme di edifici che ospita il museo ha origine dall’ultimo e più vasto complesso termale dell’antica Roma fu costruito tra il 298 e il 306 d.C. per volere dell’imperatore di cui ha preso il nome. Occupava una vastissima area, compresa fra le attuali Piazza della Repubblica, Via Parigi, Via Volturno e Piazza dei Cinquecento. Questo grandioso sistema rimase in piedi per circa due secoli, fino al 537, anno nel quale Vitige, re dei Goti, nel corso della terribile guerra gotico-bizantina tagliò gli acquedotti romani, privando Roma dei suoi eccezionali rifornimenti idrici. 

In seguito a ciò l’impianto perse la sua funzione; l’intera zona, peraltro, conobbe un totale abbandono nel corso del Medioevo, quando la popolazione di Roma, ridotta a poche decine di migliaia di anime, lasciò gran parte dell’abitato sui colli per raccogliersi sulle sponde del Tevere. Solo agli inizi del XVI secolo  gli antichi ruderi  furono teatro di una serie di  interventi di riuso: il frigidarium fu utilizzato come sala di equitazione, destinata anche a tornei pubblici, mentre in altri ambienti si insediarono magazzini, fienili, case private. Era un chiaro segno di ripresa, al quale fece seguito, a partire dal 1562, la realizzazione della basilica di Santa Maria degli Angeli ad opera di Michelangelo, nell’area dello stesso frigidarium e del tepidarium termale. Accanto alla chiesa sorse il complesso conventuale dei certosini, sistemato anch’esso all’interno delle terme ad opera dell’architetto Giacomo Del Duca, allievo di Michelangelo. E al grande maestro è tradizionalmente attribuito il progetto del grande chiostro,  ancora oggi cuore del complesso, che si estende dal corpo centrale all’estremità settentrionale del recinto.

Le Terme di Diocleziano

Dall’ingresso al grande Chiostro Michelangiolesco

L’attuale ingresso al Museo delle Terme su piazza dei Cinquecento, di fronte alla stazione Termini, si apre su di un giardino che in qualche modo annuncia i contenuti delle raccolte museali: è infatti decorato da statue ed epigrafi, appartenenti al periodo imperiale, mentre al centro  è collocato sopra una fontana rotonda un grande cantaro marmoreo decorato con puttini in rilievo. In fondo si apre l’ingresso dell’edificio, sul quale si affacciano la biglietteria e la libreria; si attraversa quest’ultima per raggiungere l’androne che porta alle due sezioni del museo e al grande chiostro michelangiolesco, visibile sul fondo, al di là di una vetrata. Questo, di pianta quadrata, presenta al centro un’area a giardino, delimitata da un portico ad arcate sostenute da 100 colonne; al di sopra  venne costruito successivamente, alla fine del XVII secolo, un piano superiore,  nel quale è stata sistemata la sezione del museo dedicata alla protostoria dei popoli Latini.

A sinistra di chi entra appare un singolare affresco rappresentante un monaco certosino, che sembra uscire da una porta con grande realismo, grazie alla tecnica trompe l’oeil (“inganna l’occhio”) usata  dal pittore napoletano Filippo Balbi, che l’eseguì nel 1855.

Da una fontana, collocata al centro del giardino nel 1695, partono vialetti a stella, alle cui testate sono state sistemate teste colossali di animali nostrani ed esotici (due tori, un cammello, un cavallo, un capro, un elefante, un rinoceronte), probabilmente provenienti dal Foro Traiano. Altre opere scultoree sono disseminate nel giardino e soprattutto lungo l’ambulacro porticato che si svolge intorno ad esso. Provengono per lo più da zone periferiche di Roma o della campagna romana, e sono frutto non soltanto di scavi archeologici veri e propri, ma anche di rinvenimenti casuali, avvenuti nel corso di lavori di sterro, stradali, di interventi di ogni genere, risalenti per lo più alla fase di intensa urbanizzazione iniziata dopo la proclamazione di Roma a capitale d’Italia. I pezzi esposti documentano eloquentemente i caratteri degli apparati decorativi delle residenze nobiliari e dei monumenti funebri dell’antica Roma nell’età imperiale.

La Collezione Epigrafica

Tornati all’androne, si entra nella sezione destinata alla collezione epigrafica, che espone su tre piani più di mille iscrizioni, grazie alle quali è possibile  ricostruire la nascita e la diffusione della lingua latina. Per di più, le preziose  testimonianze qui esposte costituiscono fondamentali pietre di paragone per i racconti degli storici, e in diversi casi consentono addirittura di colmare  lacune, altrimenti irrimediabili, con le quali molti testi antichi sono giunti fino a noi. I moderni criteri espositivi, con pannelli esplicativi e con una gradevole presentazione dei reperti nelle vetrine e lungo le pareti, consentono al visitatore un approccio estremamente positivo alla scienza epigrafica. A questi sussidi facciamo riferimento, limitandoci da parte nostra, per evidenti limiti di spazio, a citare solo alcuni esempi particolarmente significativi.

I pannelli e le vetrine esposti nellasaletta d’ingresso al pianterreno presentano i criteri generali della scienza epigrafica,  mostrano materiali e tecniche scrittorie e danno una visione d’insieme sulla vastissima produzione epigrafica del mondo romano e dei rapporti fra epigrafia e storia, evidenziati nell’intera esposizione anche grazie al criterio cronologico che ne costituisce un importante filo conduttore.

Le successive sale del pianterreno si riferiscono all’intera storia di Roma precedente l’età imperiale, dalla fase arcaica alla fine della repubblica. Nella prima sono esposte testimonianze che vanno dall’VIII al V secolo a.C., provenienti da Roma e da importanti santuari arcaici del Lazio. Sulla sinistra spicca fra le altre la celebre iscrizione bustrofedica (cioè con la scrittura in direzione alternata dall’alto in basso e dal basso in alto) del Niger Lapis, il cippo del Foro romano che presenta la più antica testimonianza  di iscrizione in lingua latina ritrovata a Roma.

Seguono due sale affiancate, con iscrizioni e reperti dal IV secolo a.C. alla fine dell’età repubblicana. Quelli esposti nella prima, di carattere prevalentemente religioso, appartengono per lo più al IV-III secolo a.C. e provengono, oltre che da Roma, in particolare dall’alveo del Tevere, dalle principali città del Latium vetus, la parte della regione laziale più vicina alla capitale (Albano, Ardea, Ariccia, Lanuvio, Norba, Palestrina). La sala a fianco, invece, documenta la crisi dell’età tardo-repubblicana, dovuta alla troppo rapida formazione del vastissimo impero romano, cui le antiche istituzioni repubblicane non riuscivano a far fronte. Di qui il tentativo di risolvere i problemi della politica con  l’esaltazione individuale degli appartenenti alle classi dirigenti, documentata da varie iscrizioni autocelebrative, e con l’innalzamento di un nuovo ceto sociale, l’ordine equestre, corrispondente in qualche modo alla borghesia dei tempi moderni, anch’esso testimoniato da nuovi tipi di iscrizioni.

L’inizio dell’età imperiale è illustrato nel successivo ambiente di passaggio, dal quale ha inizio la scala che porta ai piani superiori. Un pannello illustra le cariche istituzionali assunte dall’imperatore; sono inoltre presentate iscrizioni  imperiali provenienti dall’area sacra alle pendici del Palatino, nel versante di  nord-est verso l’arco di Costantino.   

 La presentazione dell’età imperiale prosegue al primo piano, dove i due corridoi pensili che corrono sopra le sale del pianterreno sono dedicati l’uno(a sinistra) alle famiglie imperiali e a personaggi illustri (ricordiamo una serie di iscrizioni riferite alla famiglia Giulio-Claudia e l’iscrizione funeraria  dello storico Tacito), l’altro (a destra)  ad esponenti di ceti minori (liberti, fra i quali il celebre Epafrodito, cui Nerone affidò il suo suicidio; funzionari pubblici; imprenditori e commercianti; militari; piccola nobiltà locale).

Al secondo piano  iscrizioni e sculture illustrano in una lunga sala laterale sulla destra le attività economiche e produttive, evidenziando l’importanza delle associazioni nelle attività economiche, presentando una serie di iscrizioni sepolcrali riferite alle diverse attività dei defunti e sottolineando il ruolo della corte imperiale, con l’infinita serie di mansioni specialistiche dei numerosissimi addetti. Desta interesse il ruolo prioritario attribuito alle professioni relative ad attività teatrali, gladiatorie, circensi, quelle, insomma, che oggi chiameremmo di intrattenimento. 

Il ballatoio sospeso centrale, infine, illustra  gli aspetti religiosi della vita romana, con due pannelli, uno su Le religioni dei Romani, il tradizionale paganesimo,l’altro su Le religioni monoteistiche, ebraismo e cristianesimo. Al primo si riferiscono le iscrizioni funerarie esposte nella prima parte della lunga galleria, fino al n. 15; le iscrizioni relative alla religione israelitica arrivano fino al n. 23; le ultime, infine, riguardano le iscrizioni cristiane.

Ad altre religioni di origine orientale, diffuse soprattutto nella fase avanzata dell’età imperiale, è dedicata la saletta con la quale si conclude il lungo corridoio. Un ruolo significativo ha il mitraismo, cui si riferisce un rilievo policromo proveniente dal mitreo romano di Santo Stefano Rotondo; degna di nota l’iscrizione relativa a Diana e Antinoo da Lanuvio, che ricorda la divinizzazione del favorito egiziano di Adriano, morto misteriosamente fra le acque del Nilo.

La Protostoria dei Popoli Latini

Dalla saletta si scende attraverso uno scalone monumentale, sul quale si affaccia, al primo piano, la sezione del museo che presenta  testimonianze archeologiche di grande rilievo sulle più antiche fasi della cultura laziale che precedettero la nascita di Roma, esposte con moderni ed interessanti criteri museografici in due delle che corrono al di sopra del grande chiostro michelangiolesco.

La Cultura Laziale

Nella  galleria che si apre sull’ingresso sono esposti reperti che illustrano i caratteri generali delle fasi più antiche della cultura laziale, dalla fine dell’età del bronzo (circa XI secolo a.C.) al “periodo orientalizzante” (inizi del VI secolo a.C.). Sono accompagnati da efficaci pannelli di grandi dimensioni, corredati di testo, mappe, disegni illustrativi, ai quali facciamo riferimento nella nostra esposizione.

Il primo pannello, oltre a specificare i passaggi  della cronologia sopra ricordata, mostra i confini e la morfologia del territorio dell’antico Lazio, il Latium vetus, di superficie più ridotta rispetto alla regione attuale. Segue un secondo pannello, con dati di estremo interesse su ambiente, risorse, economia primaria, basata prevalentemente sulla coltivazione di cereali, prevalentemente “poveri” e sull’allevamento di animali domestici. Le vetrinette corrispondenti presentano semi di orzo, di farro e di grano da pane, e resti di ossa di cavallo, bue, ovino (pecora o capra), maiale.

Seguono, nel terzo pannello, significativi dati sulla demografia antica (paleodemografia), ricavati dallo studio delle necropoli di Osteria dell’Osa e di Castiglione, che verranno presentate in dettaglio nel secondo settore di questa parte del museo. Qui sono messe in rilievo le informazioni ricavate dallo studio di quelle sepolture sulla popolazione laziale dell’epoca, condotto con metodi scientifici precisati nel cartello collocato nella vetrina intermedia, che presenta lo scheletro di una giovane donna dalla tomba 5 di Castiglione.

Il quarto pannello presenta i dati relativi all’organizzazione del territorio nei diversi periodi della protostoria, a partire dall’XI-IX secolo a.C., che vide prevalere la zona dei Colli Albani. Successivamente si affermarono i centri situati lungo la strada di collegamento costiera dall’Etruria alle foci del Tevere, fino al momento in cui s’impose Roma, anche grazie alla  presenza del guado dell’Isola Tiberina, quale punto di più facile attraversamento del fiume. Segue un pannello con importanti dati sull’organizzazione sociale, documentati dai corredi di due importanti tombe, esposti nelle corrispondenti vetrine. Si tratta della tomba I della località Quadrato (via Tuscolana), ad incinerazione, contenente le ceneri di un  individuo di sesso maschile ed un corredo miniaturizzato tipico di un guerriero (spada, lancia, doppio scudi, schinieri, oltre a rasoio e coltello), e della tomba 2 del Foro di Cesare, anch’essa ad incinerazione, di particolare interesse perché documenta una fase arcaica (XI-X secolo a.C.) finora non testimoniata a Roma. Oltre alle armi, questa presenta un corredo ceramico, oggetti metallici e resti di animali; in entrambi i casi si tratta di personaggi di rilievo, non solo per la qualità del corredo, ma soprattutto per il ricorso all’incinerazione, uso funebre particolarmente impegnativo e costoso, che, come vedremo, veniva riservato per lo più agli uomini fra i 20 e i 40 anni di rango elevato.

Le Necropoli di Fidene, Castiglione, Osteria dell’Osa

In questo settore sono esposti reperti provenienti da tre necropoli: due di esse, Osteria dell’Osa e Castiglione, appartengono ad un unico comprensorio sulla via Prenestina, nel quale successivamente sorse la città latina di Gabii, mentre Fidene è un’antica città laziale sulla via Salaria, fra villa Spada e Castel Giubileo. Anche qui interessanti pannelli ci forniscono gli elementi necessari per osservare le vetrine con consapevolezza; vale perciò la pena di seguirne l’ordine storico, anche quando le esigenze espositive l’hanno parzialmente alterato.

Cominciamo, dunque, dal fondo della galleria, dove sono esposti i reperti provenienti da Fidene, località isolata rispetto alle altre due qui rappresentate. Centro etrusco sulla via Salaria (km 11) a nord di Roma, Fidene conobbe una fase di stabile insediamento nell’età del ferro (IX secolo a.C.); e a questa fase appartengono gli eccezionali resti di una casa, che pur essendo stata semidistrutta da un incendio ha conservato interessanti testimonianze della sua struttura e degli arredi. I pannelli e le vetrine di questo settore della galleria presentano  materiali dall’area circostante e una pianta della casa, che misurava m 6,20 x 5,20 (circa 30 metri quadrati), aveva un focolare al centro ed aveva l’ingresso ad ovest, preceduto da un piccolo portico. All’interno sono stati ritrovati i resti di un gatto domestico, il più antco finora conosciuto in Italia.

Seguono le testimonianze del più antico fra i due centri del territorio gabino, quello di Castiglione, i cui reperti vengono presentati dopo quelli di Fidene,  a partire dal pannello che illustra, appunto, labitato di Castiglione. Questo sorse su di un territorio dalla morfologia particolare, a fianco di un antico cratere vulcanico trasformato in lago, oggi prosciugato. Gli scavi archeologici hanno qui messo in luce alcuni materiali della metà del II millennio a.C. (media età del bronzo), esposti nella vetrina corrispondente, fra i quali una macina e una piastra da cucina, colino, scodelle, vasi per derrate e ossa di animali (porciglione, tartaruga, pecora o capra, maiale, bue).

Nel pannello successivo sono presentati i caratteri fisici del cratere di Castiglionecon il suo schema geologicoe l’evoluzione dell’occupazione dell’area, dove nella prima età del ferro (X-VIII secolo a.C.) si insediò una serie di piccoli abitati con le rispettive necropoli. Quella chiamata di Castiglione è illustrata nel pannello con la pianta della necropoli; appartiene  alla fase più antica della vicina e più ampia necropoli di Osteria dell’Osa, rispetto alla quale presenta corredi meno ricchi e curati. Tuttavia, non mancano segni di prestigio, anche in tombe femminili: nelle vetrine immediatamente successive, la tomba 74 presenta un caso unico, la presenza di un’urna a capanna in una incinerazione femminile; appresso, la tomba 77 è dotata di uno dei corredi femminili più ricchi della necropoli, con rari gioielli d’ambra; le tombe 83 e 85, entrambe di uomini maturi e ad inumazione, di grandi dimensioni, sono decorate con lastre di crosta di travertino.  

Ai lati del pannello relativo all’abitato di Castiglione si aprono i passaggi ad una sala laterale, dalla quale ha inizio l’esposizione dei materiali relativi alla necropoli di Osteria dell’Osa, per poi proseguire nella galleria che abbiamo in parte già visitata. Il pannello sulla parete sinistra narra Il momento più antico della necropoli, che in questa fase appare divisa in due parti, nord e sud. Alcune differenze fra i due gruppi evidenziano l’appartenenza delle tombe a due diversi clan familiari. Fra i reperti esposti nella serie di grandi vetrine di fronte all’ingresso  segnaliamo quelli relativi alle tombe 160 e 385, collocate agli estremi delle vetrine stesse e caratterizzate dalla presenza dell’immagine stilizzata in legno della persona sepolta. La prima rappresenta una donna anziana, sui 70 anni, la cui posizione nella comunità doveva essere di grande prestigio, come dimostra la rara presenza di due grandi anfore con anse doppie. Nella tomba 385 è sepolto un bambino di circa 10 anni, il cui corredo, con un grande numero di vasi, ne dimostra l’appartenenza ad una famiglia di rango elevato; i caratteri delle ceramiche  inducono a ritenerla originaria dell’Italia meridionale.

Alcune tombe femminili sono caratterizzate dalla presenza di rocchetti per la tessitura (tombe 117, 519, ecc.); si tratta di un’attività tipica delle donne giovani, come ci informa il pannello intitolato Le tessitrici, che troviamo riprendendo il cammino nella galleria principale in direzione dell’entrata. Segue un grande pannello, intitolato La necropoli di Osteria dell’Osa nel corso del II periodo laziale, che fornisce interessanti dati sulla ceramica come pure  sulle sepolture e sui rituali funerari di quel periodo. Questi sono documentati nelle corrispondenti vetrine  con corredi funerari  che, a differenza dai precedenti, non si riferiscono più a sepolture ad incinerazione, ma a quelle ad inumazione anche per gli uomini in età matura (v. le tombe 416, 418,197). E’ questo il segnale di un primo, profondo mutamento nella cultura laziale, legato certamente ad una minore differenziazione dei diversi ruoli all’interno delle comunità locali e alla nuova scelta di destinare a investimenti nella vita civile le notevoli risorse fino ad allora richieste da quel cerimoniale.

La successiva grande vetrina al centro della galleria presenta i corredi di alcune tombe di notevole interesse; in particolare, la tomba n. 483 (ad inumazione, relativa ad un uomo di circa 30 anni) consente di ricostruire un singolare cerimoniale.  Al suo interno, infatti, è stata inserita di lì a poco una tomba ad incinerazione (n. 482, probabilmente femminile), costituita da un grande dolio, al quale il primo defunto è stato appoggiato in posizione seduta, documentata dalla silhouette in plexiglas.

 Dopo il pannello con la pianta della necropoli, tre grandi vetrine presentano tombe quasi tutte ad inumazione, prevalentemente femminili. Degna di nota la tomba 463, di donna di oltre 50 anni, per alcune insolite caratteristiche del corredo (ciottoli bianchi, dente forato d’orso alla cintura) che fanno pensare ad una funzione medico-magica. La tomba 503, di uomo maturo, è l’unica ad incinerazione, legata dunque ad un rituale ormai superato. 

Ci avviciniamo alla fase finale del complesso. Il pannello su La necropoli di Osteria dell’Osa nel corso del III periodo laziale (IX-VIII secolo a.C.) attribuisce a questo periodo un significativo sviluppo dell’artigianato, grazie all’aumento dei livelli di specializzazione e ad alcune innovazioni di carattere tecnologico, sia nella produzione della ceramica che nella metallurgia, connesse con più stretti rapporti con l’Etruria. Fra le tombe delle vetrine successive, degne di nota la tomba. 239, inumazione di un uomo di 30-40 anni, e la tomba 270, anch’essa ad inumazione, di un uomo di 25-35 anni, entrambe caratterizzate dalla presenza di ornamenti personali e di armi, che denotano un elevato status sociale.  Ancora più significativa la tomba 600, illustrata nel singolare pannello a rilievo policromo intitolato Il guerriero, che potrebbe riferirsi ad un principe etrusco, forse di Veio.

La fase conclusiva è illustrata nel pannello relativo a  La necropoli di Osteria dell’Osa nel IV periodo laziale: siamo all’VIII – VII secolo a.C., dunque in età ormai romana. Ulteriori cambiamenti tecnologici riguardano soprattutto la ceramica, con la lavorazione al tornio, mentre per la metallurgia si osserva soprattutto la produzione di oggetti sempre più lussuosi. Così, le tombe 116224  (la prima femminile, la seconda maschile) presentano corredi fra i più ricchi  della necropoli, mentre la tomba 62 è caratterizzata dalla struttura a camera con tre celle, nelle quali sono state deposte tredici salme. Si tratta di un nuovo tipo di sepoltura collettiva tipico delle famiglie gentilizie, che è facile accostare all’uso delle cappelle nei nostri cimiteri.

Sono queste le ultime sepolture della necropoli, risalenti  ad una fase nella quale la comunità aveva ormai spostato la propria residenza abitativa; la prosecuzione, per un certo periodo, dell’uso dell’antica necropoli sta a indicare con ogni evidenza l’esercizio di una forma simbolica di controllo del territorio da parte di appartenenti a gruppi tradizionalmente eminenti.

L’Aula Ottagona (ex Planetario)

Gli interventi di ristrutturazione del grande complesso dioclezianeo, effettuati alla fine dell’Ottocento, comportarono addirittura l’apertura di una strada al suo interno: si tratta di via Cernaia, tracciata fra via V.E. Orlando e piazza delle Finanze, staccando dal contesto  l’ala sud-occidentale delle Terme. Ne faceva parte, fra l’altro,  il bell’edificio dell’Aula Ottagona (o anche sala  Minerva o Rotunda Diocletiani), che probabilmente nell’apparato termale aveva avuto il ruolo di frigidario minore; venne adibito prima a palestra della Scuola Normale di ginnastica, per divenire poi cinema di carattere educativo affidato all’Istituto Nazionale “Minerva” e infine, nel 1928, Planetario. Chiuso negli anni Ottanta per essere restaurato, è divenuto infine, nel 1991, prestigioso contenitore museale di sculture provenienti dalle stesse terme di Diocleziano e da altri importanti complessi romani, come le terme di Tito, di Traiano, di Caracalla. Fa parte integrante del Museo delle Terme, anche se ha un ingresso indipendente su v. G. Romita (piazza della Repubblica).

La sala di forma ottagonale, inserita in una struttura esterna quadrata, presenta una copertura a volta del tipo “ad ombrello”, con otto elementi divisi da nervature (veri e propri spicchi). Non ha più l’originaria decorazione a stucchi, documentata da disegni cinquecenteschi di Baldassarre Peruzzi; presenta invece  tuttora l’intelaiatura metallica che sosteneva la cupola geodetica, sulla quale avveniva la proiezione del cielo stellato nel Planetario. Da una scala collocata di fronte all’ingresso si scende ai sotterranei, in parte modificati dagli interventi con i quali nel XVII secolo l’intera struttura fu predisposta per essere utilizzata come granaio pontificio. Sono comunque identificabili le fondazioni della stessa aula ottagona, che si sovrappongono a precedenti costruzioni databili al I – II secolo d.C., fiancheggianti una strada pavimentata.

Le sculture

Tutte le 19 sculture collocate in cerchio nell’aula luminosa sono degne di interesse; vale la pena di citarle una ad una,  soffermandoci poi su quelle di cui presentiamo l’immagine. Spiccano al centro dell’aula due sculture in bronzo, il cosiddetto Principe ellenistico  e un Pugilatore; intorno, a partire da destra, si susseguono il Doriforo, copia  di Policleto, rappresentante un atleta portatore di lancia; l’Ercole, anch’esso copia  di Policleto,  presentato in un momento di riposo;  due erme arcaistiche, di Apollo e di Hermes, entrambe caratterizzate da una complessa acconciatura; testa di Satiro giovane, coronato da fronde di pino; Hermes, copia da un originale di scuola prassitelica; Afrodite anadiomene,(emergente dal mare); Afrodite di Cnido, replica della famosa statua di Prassitele; due teste, di giovane e di Asklepios, quest’ultima appartenente ad una statua colossale; una seconda Afrodite cnidia; Apollo Liceo, ancora da un originale di Prassitele; torso virile, da un originale attribuito a Policleto; testa di giovane atleta, forse di discobolo; erma di Q. Ennius, il “padre” della letteratura latina; Afrodite da Cirene, su di uno schema simile all’Afrodite anadiomene; Statua togata acefala databile al III secolo d.C. per le caratteristiche della toga.

Pugilatore

I sec. a.C. – statua in bronzo
Il bronzo riproduce un personaggio seduto, pugile o  lottatore .Come la precedente, dimostra una magistrale conoscenza anatomica ed è caratterizzata da un estremo verismo, che in questo caso si estende a tutta la figura. L’atleta, non più giovanissimo (come dimostrano i fianchi appesantiti e i tratti fisionomici) è rappresentato in posizione di riposo, subito dopo la fine di un combattimento, del quale presenta segni inequivocabili sul corpo e soprattutto sul volto, con lacerazioni sulla fronte e sulle guance  e il tipico “naso da pugile” con la cartilagine appiattita. Le ferite, come anche la bocca, sono evidenziate con l’inserimento di agemine in rame rosso; la cura estrema dei particolari appare evidente anche nella minuziosa resa dei guantoni, oltre che nella rappresentazione calligrafica dei capelli e della barba.

Afrodite anadiomene

II o III sec. d.C. – statua in marmo
Questa aggraziata rappresentazione di Afrodite è una copia di età romana da un celebre originale  di Apelle, il grande pittore greco del IV secolo a.C. La statua è priva di testa; resta parte delle ciocche dei capelli che la dea, emergente dal mare, afferra con le mani per asciugarle, tenendo le braccia alzate in una postura  armoniosa. L’atteggiamento della figura, rappresentata con una frontalità alquanto rigida, induce a collocarla in età antonina (II secolo d.C.), quando dalla  raffigurazione libera e realistica della figura umana  si passa ad un’immagine di carattere orientalizzante, più compassata, anche se si tratta di una giovane donna colta in un momento di quotidiana intimità, durante la cura della sua persona.